Cerchio di Fate Bianche

Alcune volte è sufficiente abbandonare tutto: la ricerca, la disciplina, finanche il presagio – che talvolta può fuorviare e far sembrare le cose diverse da come sono realmente – e abbandonarsi a una passeggiata dietro casa, per trovare le evidenze di qualcosa su cui prima non si era del tutto sicure.
Dopo il recente ritorno al mio originario nome d'arte, “Bianca” (il mio secondo nome dacché ne ho memoria), non riuscivo a canalizzare del tutto l'esperienza interiore che mi ha spinta a riabbracciarlo.
Poi, eccola lì, la risposta. L'arcano.
Il cerchio di funghi prataioli bianchi appare sul sentiero – e dire che passavo da lì quasi ogni giorno! – e una carezza di velluto mi si appoggia al cuore.


Spesso ci si da tante arie, ci si riempie la bocca di congetture e ci si convince di essere speciali per via di una qualche presunta rivelazione ricevuta durante chissà quale astrusa ritualità, mentre basterebbe ascoltare quel sussurro fatato quotidiano, che coglie alla sprovvista e non richiede alcuna abilità o titolo particolare per accedervi.
Quel bisbiglio che, prima insondato, porta i suoi doni di semplicità, accordandoci completamente a ciò che circonda.
Tra me e il cerchio, non c'era più alcun confine.

“Io sono il cerchio, il cerchio è me.
Cerchio di fate bianche”.

Un algido venticello mi ha girato intorno, un respiro profondo si è mosso dal e fino al diaframma senza il permesso, ed io c'ero di nuovo.
Di nuovo Bianca, di nuovo intera.


Diritti

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