Incontrando Matronae, Streghe, Antichi Alfabeti Runici, Stelle e Sirene passeggiando nei Musei Canonici di Novara

Diana et Matronis, a Diana e alle Matronae, ara o cippo di porfido, I sec. d.C. ca., da Casalino, frazione Peltrengo, trovata in anno ignoto. 

Riflessioni di una strega in viaggio Alcuni giorni fa, nonostante la pioggia irruenta, ho portato il mio compagno a visitare uno di quelli che, da sempre, considero tra “i miei giardini”; ovvero luoghi di potere a cui sono affezionata e le cui mura – fisiche e non fisiche – narrano un po' della mia storia, e sicuramente anche quella di altre od altri. Non mi ero mai resa conto, nelle lunghe ore passate lì a scrivere e studiare, nel chiostro silenzioso dei Musei Canonici del Duomo di Novara; che vi fossero elementi di ricerca connessi al mio percorso. È pur vero che ero molto giovane, frequentavo ancora il liceo; e di certo ero molto lontana dalla consapevolezza “sul sentiero” che mi abita e vive dentro, adesso. Ma è vero anche che ovunque siamo state, e comunque siano andate le cose; da qualche parte abbiamo raccolto il filo e ce ne siamo lasciate guidare, anche quando tutto, intorno, era buio. Forse è proprio quando non si sapeva ancora nulla di quel filo, che la sua luce brillante si lasciava scorgere e riconoscere meglio, fra molte altre.
Ricordo le poesie scritte lì, la timidezza che mi spinse a non concorrere per un premio di poesia a cui le mie insegnanti di italiano mi spingevano ogni anno, insistentemente; e ricordo il tema descrittivo del luogo e delle emozioni che evocava in me, che mi venne chiesto di leggere in classe come esempio per tutti dalla prof. Antonella Valerio. Ricordo anche le lacrime che quel giardino segreto mi ha vista piangere, quando la scuola – ma non lo studio – diventava per la mia anima un luogo insostenibile da frequentare. In quel piccolo chiostro, pure se disorientata, sapevo che sarei potuta andare a “trovare me stessa”, ovvero quella parte di me che abitava già nella coscienza eterna che da lì a qualche anno si sarebbe rivelata, versando il bianco latte della “missione” dalla brocca dello spirito profondo che, in qualche modo, riguarda e unisce tutte e tutti, anche se ognuna ed ognuno giungono ad esso dal capo del filo che spetta loro. Visitando il Museo Lapidario, ovvero gli interni con le loro segrete che permettevano e permettono tutt'ora ai vescovi di camminare da un luogo all'altro senza essere visti, ovvero servendosi di veri e propri passaggi segreti che collegano i musei alla sacrestia, abbiamo appreso dalla guida, un ragazzo preparato e simpatico; che sotto alla terra del chiostro, ovvero sotto alle quattro aiuole triangolari che formano un ottagono, c'erano e ci sono tutt'ora, anche se non si vedono, quattro splendidi mosaici di epoca romana, che i canonici del Duomo hanno voluto ricoprire, nascondere. Del resto, si ha ipotizzato che lì vi sorgesse proprio una Domus romana – eretta su territorio celtico, dato che ci troviamo in quella che era la Gallia Cisalpina – e che la chiesa vi abbia costruito sopra per qualche scopo. Numerose, poi, sono le leggende che parlano di fantasmi e arcani mai svelati..

Il Chiostro coi giardini





Poco prima di entrare nel Chiostro, ci siamo accorti che sulla sinistra, proprio su una delle mura esterne dell'antico edificio canonico, c'era a guidarci lei, la stella a otto raggi; nondimeno la rosa dei venti. Di lì a poco, avrei compreso il significato della sua presenza, tutt'altro che casuale, e luce, anche su quella «nuova» rotta.


La stella guida a otto raggi

Curiosità di Viaggio, La Stella Guida La bacchetta con la stella impugnata dalla Madonna della Stella di Pavia, presente, spesso nascosta; in molti edifici cristiani, come in questo caso presso i Musei Canonici del Duomo di Novara; presenta una stella a otto raggi, evidente simbolo delle Madri celesti e portatrici di luce. Otto sono, inoltre, le sirene, ovvero riflesso di stelle o in alcuni miti stelle e dee loro stesse; che intonano e reggono l’armonia canora celeste nella mitologia platonica, e otto sono i raggi della stella polare, ovvero i raggi della rosa dei venti; che guida i marinai e in generale i viandanti sulla rotta; a memoria e nei panni della egizia Iside Stella Maris, Sopedet; ovvero della cananea Asherah.Un motivo, peraltro, che anche nella mitlogia artica e balto-finnica è stato assimilato dal cuore asiatico dei loro miti, probabilmente emerso anche grazie agli spostamenti attraverso la Via della Seta.

Il Museo

Il Museo lapidario, allestito nelle originarie stanze che un tempo erano abitate dal clero, e la cui la visita guidata, è durata circa un'ora, risale al 1813 quando il canonico Carlo Francesco Frasconi incominciò la raccolta epigrafica e venne successivamente sistemato e adibito ufficialmente a museo nel 1999. La raccolta presenta epigrafi, are e cippi celto-romani databili tra il II e il III secolo. La collezione epigrafica, nondimeno la terza in tutta la nostra penisola, è stata pubblicata dal filologo Theodor Mommsen nel Corpus Inscriptionum Latinarum, ovvero nelle Inscriptiones Galliae Cisalpinae. Al di là delle prime sale, dove l'arte scultoria iper-realistica non era di nostro particolare interesse; nondimeno le stanze dove era esposta la storia delle vesti clericali, accompagnata da ben due affreschi di Carlo Bascapè, vescovo attivo nel maxi-processo alle Streghe di Croveo; i miei occhi si sono finalmente illuminati alla vista delle pietre. Al centro del grande salone illuminato, da cui fra l'altro si aveva una bella vista sul chiostro, c'erano le are e i cippi consacrati alle Matronae, nondimeno a Diana e a Minerva; mentre alle pareti erano appese le epigrafi dedicatarie e testimonianze delle forme di culto della memoria praticate in territorio novarese. Di nostro interesse anche i documenti epigrafici che attestano la  permanenza dei Celti nella zona, nonchè il progressivo passaggio dagli antichi culti locali dianici e selvatici alla conseguente romanizzazione dei popoli autoctoni.

Curiosità di Viaggio, L'Inquisizione a Novara Nel 1593 fu eletto vescovo di Novara Carlo Bescapè, protetto di Carlo Borromeo, attivo insieme al primo nella caccia alle streghe di Croveo. A differenza di Domenico Buelli, l'allora inquisitore generale del Sant'Uffizio a Novara; il Bescapè  era contrario all’utilizzo smodato” della tortura e a quanto pare fu più clemente del suo predecessore con le donne e uomini della Valle Antigorio che subirono il processo con accusa di stregoneria che durò dall'autunno del 1609 all'inverno del 1611; ed ebbe sede proprio a Novara, dove le donne vennero condotte dopo l'arresto. Probabilmente il Bescapè – dal carattere altezzoso, se non altro per la sua estrazione sociale particolarmente favorevole – temeva solo di inimicarsi la gente, che era naturalmente fonte di una certa ricchezza; e non risparmiò l'uso della tortura verso gli ecclesiastici ritenuti eretici. Per saperne di più, consiglio la mia pagina di diario viaggio intitolata Sul Sentiero delle Streghe di Croveo parte III

Carlo Bescapè, vescovo di Novara coinvolto nelle vicissitudini che hanno visto processate le donne e uomini della Valle Antigorio tra il 1609 e il 1611, accusate/i di stregoneria

Cippi e are a Diana, alle Matronae, A Minerva e a Nettuno

Diana et Matronis, a Diana e alle Matronae, ara o cippo di porfido, I sec. d.C. ca., da Casalino, frazione Peltrengo, trovata in anno ignoto. .

Excursus, Culto di Diana e Le Matronae nella Gallia Sulla didascalia dell'ara, databile intorno al I sec. d.C.; si trova conferma di ciò che, negli studi Sulle Tracce della Dea Madre, ho compreso e approfondito negli anni; trovando qui come in altri Musei e pievi che ospitano testimonianze del culto delle Matronae, un meraviglioso riflesso: “l’iscrizione accomuna Diana alle Matronae, caratteristiche divinità silvestri di origine celtica: questa compresenza non esclude che sotto il nome di Diana si celasse una divinità locale, e anch’essa legata all’ambiente rurale e boschivo, che i romani inserirono nel loro pantheon ufficiale dopo averla assimilata a Diana”. Ci tengo a precisare, a ogni modo, che non solo Diana ha preso il posto di una presenza più antica, ma è ella stessa una Dea preromana di luce, anche conosciuta come stella in alcune fiabe dolomitiche e che affonda le radici, forse, anche nella etrusca Tana; nondimeno Erodiade/Diana potrebbe essere uno dei volti della Berchta, la brillante strega alpina che si cela dietro alla veste della meglio conosciuta Befana, figura folclorica che potrebbe affondare le sue radici già nella preistoria europea; ed assimilabile secondo l'ipotesi più avvallata alla dea della terra protogermanica Nerthus o Hertha; ovverosia un volto pre-eddico – mi si passi il termine della filatrice Frigg; che ab origine costituiva una dea triplice insieme a Freya (proveniente dalla Frigia, a Nord della penisola Anatolica, la vera collocazione della mitica Asgard da cui molti dei Germani sono “usciti”) e Skaði. Da ciò si potrebbe persino evincere che la trinità lunare attribuita a Diana, corrisponda alla stessa trinità germanica, ovvero al culto germanico della Matrona”, a cui la Notte delle Madri, che cade tra il 24 e il 25 Dicembre e riguardava anche le “notti d'inverno”, le vetrnaetrera con tutta probabilità titolato; e che si celi proprio nello studio di Diana quello che è il volto della originaria, dianica; Vecchia Religione “delle streghe” illustrata da Margaret Murray nel saggio intitolato Le Streghe nell'Europa Occidentale. Diana era una Dea lucifera, forse assimilabile anche alla protoceltica Belisama, o Belisma – di cui sono sopravvissute tracce di culto e un Tempio nell'area prealpina ove la stessa Diana ed anche Berchta hanno ricevuto venerazione  dal protoindoeuropeo bel, che significa luce. Successivamente, la figura di Belisama, è stata assimiliata dai romani  prova tracce di culto nelle zone della Gallia  a Minerva, nonché volto romanizzato della Dea Celtica Brigid, custode, trina, del fuoco sacro e, pertanto, della luce. L'etimologia del nome Diana, in effetti, deriva dalla forma omonima latina Diàna, che sta al sanscrito Divàna, dalla radice Div che significa splendere, brillare, nonché dal latino DeusDio; ed ha il senso di luminosa, affine al significato di Lucifero, al quale la degenerazione cristiana l'ha attribuita; anche derubandola, parallelamente a Lucia candelifera; del suo attributo di Stella portatrice di Luce. Herodiade/Diana divenne allora la Dea delle Streghe in clandestinità, che il Canon Episcopi del decimo secolo condannava in quanto Dea dei Pagani che cavalcavano le scope in suo onore, per riunirsi al Sabba con il diavolo. Come è noto, e come i portali di ricerca Lo Scrigno di Luce e Sulle Tracce della Dea Madre hanno posto in luce spesse volte, “Lucifero”, dal latino lucifer, composto di lux – luce – e ferre – portare – il famigerato angelo caduto che la mitologia cristiana ha associato a Satana; già divinità romana, nonché assimilabile al greco Eosforo, associato al pianeta Venere così come l’Adone semitico, dio delle cose, “ne sposava la stella”, la Madre Celeste dei Semiti invero Astarte; altri non potrebbe essere che la degenerazione del volto preindoeuropeo delle Dee di Luce sopraddette, la cui origine si perde nella notte dei tempi: Lucina candelifera, Lucia, il cui culto è ben precedente a quello attribuito dal sincretismo con la santa siracusana ed è, secondo i nostri studi, con tutta probabilità connesso al culto della luce e della gioiosa danza selvatica tipico delle Matronae, e delle prime sacerdotesse della Europa Antica che veneravano la Grande Madre nella sua forma lunare triplice, ma anche nel suo aspetto solare – di cui Diana è portatrice, ed è per questo che nel mito illustrato nel Vangelo di Leland sarebbe sposa incestuosa di Lucifero, col quale darebbe alla luce la figlia Aradia, semidea medievale vendicatrice delle streghe – dato che la dicotomia e consecutiva scissione dei suoi aspetti in maschile e femminile è un retaggio delle mitologie indoeuropee, che hanno privato le dee – così le donne – dei loro attributi primigeni; spostando l’attenzione dal culto ciclico e pacifico della Grande Madre alle bellicose e prepotenti divinità solari ad appannaggio maschile: lo stesso Giano, è con ogni probabilità una mascolinizzazione di Diana.

Diana et Matronis, a Diana e alle Matronae, ara o cippo di porfido, I sec. d.C. ca., da Casalino, frazione Peltrengo, trovata in anno ignoto. 

Diana et Matronis, a Diana e alle Matronae, ara o cippo di porfido, I sec. d.C. ca., da Casalino, frazione Peltrengo, trovata in anno ignoto. 

Diana et Matronis, a Diana e alle Matronae, ara o cippo di porfido, I sec. d.C. ca., da Casalino, frazione Peltrengo, trovata in anno ignoto. 

Sulla didascalia che racconta le origini della Matronae, che conferma l'excursus sopra presentato; si legge inoltre: “la loro venerazione sopravvisse ed entrò nella cultualità romana senza subire sostanziali modifiche nel nome e nella sfera dell’intervento. Le Matronae o Matres, prediligevano l’habitat dei boschi e delle selve, ed erano tre: non è del tutto chiaro in cosa consistesse il loro potere, ma è probabile che si esercitasse sulla tutela e sul destino individuali; la funzione, accostabile a quella svolta dagli angeli custodi cristiani, era da loro condivisa con le Fatae, il cui ricordo è giunto fino a noi grazie soprattutto alla tradizione favolistica germanica. Nell’Italia settentrionale e anche nel Novarese, il culto continuò ad aver seguito ancora nel corso del II secolo d.C. sia in città sia soprattutto in campagna, da parte di fedeli appartenenti al ceto più umile della popolazione, e prevalentemente da schiavi e liberti, come dimostrano le diverse provenienze dei monumenti esposti e nel lapidario. Le Matronae erano anche venerate nel santuario rurale di Suno, da cui provengono alcuni ex voto esposti nel broletto”.

Ara alle Matronae, fine del I - inizio del II secolo d.C. ca., da Borgomanero, frazione Santa Cristina

Ara alle Matronae, fine del I - inizio del II secolo d.C. ca., da Borgomanero, frazione Santa Cristina

Ara con voto a Minerva, di granito gneissico bianco, II secolo d.C. ca., da Cureggio, trovata in anno e sito ignoti

Cippo a Minerva, di granito gneissico bianco, II secolo d.C. ca., da Cureggio, anno e sito di ritrovamento ignoti

Cippo di marmo di Candoglia dedicato a Nettuno, seconda metà del I - inizio del II secolo d.C. ca., da Varallo Pombia, trovato in anno e sito ignoti

Cippo di granito grigio di Quarona alle Matronae, II secolo d.C. ca., da Novara, trovato in anno ignoto in località S. Agabio e già collocato nel monastero di Vallombrosa.

Cippo di serizzo a Diana, II secolo d.C. ca., da Bogogno, anno e sito di ritrovamento ignoti

Cippo alle Matronae e agli Dei del Pantheon, granito bianco dei laghi, II secolo d.C. ca. da Casalbeltrame, anno e sito ritrovamento ignoti

L'epigrafe celtica

Stele celtica in granito rinvenuta nel 1859 a San Bernardino di Briona, presso l'antica pieve di Proh-Camodeia

Sulla parete di fronte alle are, il blocco di pietra epigrafata ha attratto subito la nostra attenzione. La stele in granito, rinvenuta nel 1859, riporta una iscrizione in alfabeto nord-etrusco e in lingua celtica, la più lunga delle tre che sono rimaste in Italia a ricordare la lingua degli antichi Galli. L'insediamento celtico di San Bernardino di Briona apparteneva ai Vertacomori, che provenivano dalla tribù dei Voconzi, della Gallia Narbonese. La datazione è incerta,  probabilmente posteriore all'89 a.C., anno in cui Novara ottenne lo “Ius Latii” infatti, uno dei cinque dignitari il cui nome è trascritto sulla stele, è Quintus Legatus, un celta divenuto cittadino romano e incaricato di una missione ufficiale. L'iscrizione sottolinea il passaggio di consegna di potere dai celti ai romani. Alcuni autori propongono invece una datazione non posteriore alla fine del II secolo a.C., in quanto la mancanza di un gentilizio non rende obbligatorio immaginare un conferimento di cittadinanza, e in quanto si collocherebbe in un quadro omogeneo sul piano cronologico con altre epigrafi del Novarese.

Curiosità di Viaggio, le Rune sulla stele di San Bernardino di Briona Si tratta di proto-rune, quindi più antiche del classico futhark che viene studiato, ovvero le rune italiche; poichè si sa per certo che nell'arco alpino e subalpino ci sono state delle popolazioni chiamate genericamente celtiche” che utilizzavano scritture di cui facevano parte anche le rune: chiaramente si trattava dei loro alfabeti; che poi hanno influenzato le rune germaniche, le più antiche che conosciamo e risalenti a più di duemila anni fa. Di fatto, c'è una connessione tra l'etrusco e gli alfabetti sopraddetti, hanno una matrix simile se non la stessa e ciò è confermato da diversi testi di studio. Del resto, i vichinghi sarebbero arrivati dopo, e le popolazioni italiche, si sa, commerciavano. Gli stessi alfabeti greci, etruschi, venetico, lepontico, retico e vichingo si assomigliano. Per la riflessione, accurata ed esemplare; si ringraziano gli amici, scrittori e ricercatori Eugenio ChionakySimona Matarazzo

I materiali lapidei medievali

Della camera con i materiali lapidei medievali, così come del resto del museo, ho scelto di portare con me, nello spazio dell'anima che nel viaggio si espande e riporta a sé stesse, solo i rilievi nei quali mi sono riconosciuta, e i cui simboli avevano qualcosa di puro e vero da darmi. La guida, seppure molto preparata e di buon temperamento; purtroppo parlava velocemente e spesso i dettagli sui quali sentivo la necessità di soffermarmi non erano gli stessi su cui in genere viene fatta leva, per catturare i visitatori incuriositi da ciò che, a mio sentire, è tutt'altro che rilevante. Ho scelto allora di raccogliere il leone stiloforo, e la chiave di volta in marmo che ritrae lo stemma di San Bernardino da Siena, attratta dalla immagine di quel sole aureo e fiammeggiante, provenienti dal duomo romanico e da altre chiese del territorio diocesano.

leone stiloforo XIII secolo

Chiave di volta raffigurante lo stemma di San Bernardino da Siena, fine sec. XV, calcare

Affreschi tra le stanze
Giuditta decapita il condottiero assiro per difendere la popolazione dall'invasione straniera


La vicenda di Giuditta che taglia la testa a Oloferne, mentre la donna, ebrea, nell'episodio biblico decapita il condottiero assiro per salvare il proprio popolo dalla dominazione straniera, servendosi di una scimitarra; mi ha particolarmente colpita. Non so ancora nel dettaglio il perchè, di questa fatale attrazione; ma ho voluto fotografarla e portarla con me, foss'anche per aggiungerla a quella schiera di donne che mi abita e “parla
 dentro”, che con me piange, scrive, crea e combatte nei momenti di difficoltà e debolezza.

Le statue lignee

Madonna in trono con bambino, sec. XIII, legno dipinto e dorato

Madonna con bambino, sec. XVI, legno dipinto e dorato

Il particolare sulla veste, la stella a otto punte

Se non fosse che il mio compagno di viaggio possiede l'arte del legno, e che quindi fosse particolarmente attento nella stanza delle finissime sculture lignee; non mi sarei mai soffermata a notare il particolare dettaglio sulla veste blu della Madonna. Ce n'era una fuori, illustrata all'inizio del diario di bordo, due sulla sua veste e ancora non sapevo che, percorrendo le ultime sale del museo, ne avrei incontrate alcune altre. Nemmeno la guida, ne aveva idea: “non mancherò di raccontare ai visitatori gli aspetti precristiani che mi stai portando” – ha detto entusiasta. La stella a otto punte, nonchè le ricorrenti forme ottagonali nelle costruzioni degli edifici sacri; non hanno il solo significato di ricordare la superiorità – che io, più propriamente, chiamerei trascendenza – del potere celeste su quello materiale; ma affondano il loro significato nell'antico culto della Madre Stella; che, a ogni modo, a parte brevi cenni ho preferito tenere per me e per poche altre...

Curiosità di Viaggio, Astarte e il Culto della Stella Sole Ogni luogo del mondo ha avuto una originaria religiosità legata alla magia della natura(4); il sole, ed il suo ciclo di morte e rinascita, sono stati deificati sin dall'origine: ciò è comprensibile se si considera che i nostri antenati vivevano secondo il ritmo delle stagioni e la durata del ciclo e del giorno(13). La loro sopravvivenza non solo spirituale ma soprattutto fisica dipendeva dal grande astro di fuoco. Testimonianze di un culto legato alla natività del sole intorno al 25 Dicembre, provengono dall'oriente persiano del dio Mithra nonchè dal mitraismo di appropriazione da parte dell'impero romano, originariamente molto simile al culto della Grande Madre dalla Siria e dall'Egitto, dove si festeggiava la vergine partoriente, la Grande Dea Celeste dei Semiti, che era una forma di Astarte(4).Il culto del sole nascituro, secondo la testimonianza dell'astronomo Bailly, deriverebbe addirittura dalle regioni artiche(4), con protagonista Adone inteso come personificazione del sole. Effettivamente in luoghi dove per metà dell'anno il sole scompare del tutto, è possibile che l'esorcizzazione dell'inverno con riti propiziatori della luce possa essere stata predominante(4) e vissuta con maggiore timore che il sole potesse non rigenerarsi più; ma origini lampanti di tale culto, connesso alla Epifania; sono da identificarsi nella prima storia israelita:  ad Afaca, in Siria, presso un famoso tempio di Astarte, era “l’apparizione di una meteora” a dare il segnale per la celebrazione dei riti di Adone, poi identificato con Gesù. Cadeva, la Dea, come una stella, dal Monte Libano nel fiume Adone. Si credeva che la meteora fosse “Astarte in persona” e il suo volo attraverso l’aria rappresentava la discesa della dea innamorata tra le braccia del suo amante. Ad Antiochia e altrove “l’apparire della stella mattutina” nel giorno della festa può, in egual modo, essere stata presa come l’arrivo della dea dell’amore per risvegliare il suo amante morto dal suo letto terrestre(2). Se così era, possiamo immaginare che fosse la stella mattutina a guidare i Re Magi dall’oriente a Betlemme(2); invero, la Stella, e le dee di luce lei associate, tra cui Iside Sopdet, la Stella Maris; sono la vera e più antica apparizione celeste femminile, la dietrologia pagana, di quello spirito santo fecondatore della grotta/utero che, in un tempo che si perde nella notte dei tempi, giungeva a risvegliare la terra addormentata sotto la galaverna, dando vita alla natalità della creatura solare: il sole, che al girare della ruota rinasce sotto l'egida del solstizio, dopotutto, è una stella. La Stella Madre, che da alla luce la stella figlia. — Tratto da La Dama Bianca, L'Antico Culto della Luce e Le Vere Origini del Natale e dell'Epifania; ricerca di Claudia Simone


La raccolta numismatica

Moneta d'oro della famiglia Borbone-Orléans

Della raccolta numismatica, che conta circa duecento monete databili dall'età classica a quella rinascimentale e moderna; la moneta d'oro, con la croce con le terminazioni a forma di giglio, è stata l'unica a colpirmi. La sua luce brillava tra le altre, e dovrebbe risalire alla famiglia Borbone-Orléans, un ramo cadetto della dinastia francese dei Borbone fondata nel 1660 e deposta nel 1848.

Reperti archeologici Magnogreci ed Etruschi dalla Puglia

La straordinaria collezione di reperti archeologici, tra cui sono stati identificati manufatti magnogreci provenienti dalla Puglia, è stato un altro punto luce. Se non altro, avendo origini pugliesi, talvolta provo il desiderio profondo di cercare, anche, quella parte di me. Quella che viveva nelle nonne che adesso mi osservano con sguardo severo e a tratti dolce dalle cornici sul caminetto. Tra le fotografie, di particolare interesse, per me, la finissima rffigurazione del caprone/ariete sulla brocchetta – l'ariete è, del resto il mio segno zodiacale nel quale fra l'altro stiamo per entrare – ed altro vasellame particolarmente grazioso con sopra lupi e cigni. E, poi, la statuetta femminile in terracotta, proveniente dall'area Tarantina, che impugna – forse – uno scudo e una conocchia; e che per me assume lo speciale significato della filatrice, della Berchta, nondimeno delle Madri di luce e fortuna che vivono nelle Matronae; o della Madre Natali; come ad esempio era chiamata in Sicilia. Del resto, alcuni dei reperti rinvenuti, sono di matrice etrusca, ad esempio l'oggetto con il manico “cornuto”. Ed è proprio nella tradizione etrusca che, forse, il volo di Erodiade/Diana potrebbe trovare origine e riscontro...

Brocchetta con caprone, Puglia. Datazione e contesto incerti

Donna con conocchia e scudo, Taranto, Puglia. Datazione e contesto incerti

Vasellame magnogreco rinvenuto in Puglia

Reperto etrusco rinvenuto in Puglia, datazione incerta

Pentolino con cigno e brocca con lupo, reperti magnogreci rinvenuti in Puglia

La stanza dei libri antichi

Una delle stanze di maggiore meraviglia, per me, è stata quella contenente il messale del sec. XV, rispettivamente esposto alla pagina di una litania funebre e cadenziata, uno spartito, che veniva scritto e colorato utilizzando l'oro e l'ambra, che serviva a rendere brillante il colore; e le penne di anatre o cigni, le più precise per la scrittura amanuense.



Quei colori brillanti, ed il sapore antico delle pagine che narravano di voci antiche, seppure cristiane; erano per me gioia per gli occhi ed il cuore. Senza contare che, poco lontano, c'era una vetrina contenente una antica bibbia sacra che era stata scritta, a mano, in soli due anni; ed i primi tentativi ottocenteschi di impaginazione dei libri.

Bibbia sacra compilata a mano, codice VII sec. XIII

Bibbia sacra, Incunabolo XXX, Basilea 1498. Notare la particolarità delle note a centro anzichè in calce o a margine.

Bibbia sacra sec. XVII. Primi tentativi di impaginazione: la stampa non esisteva ancora, le immagini erano pressate a caldo.

Affresco di Novara del 1487

Novara nel 1487, affresco di Iohesantonius Merlus

Un dettaglio della crocifissione di Cristo, visibile dietro le gambe insanguinate ed affrescata da Iohesantonius Merlus nel 1487; è la rappresentazione della Novara del tempo. Suggestiva, ne sono stata rapita, ed ho voluto fotografare solo quella: “solo ciò che mi appartiene”, mi sono detta.

Il Rilievo di Ulisse

L'ultimo rilievo a rapire lo sguardo – e, come sempre, a notare le stelle a otto punte ci pensa il mio compagno con il suo occhio di lince  è una rappresentazione che i romani hanno dato di Ulisse in viaggio per la sua Itaca. Sul bordo della nave, le stelle; nondimeno le sirene che, come spesse volte ho scritto nei saggi e ricerche che ho dedicato loro, altro non sono che riflesso delle Dee celesti poste a guida dei marinai. Dalla prima storia israelita, il motivo si spostò attraverso il Mediterraneo, portando le sirene a lidi di appartenenza meglio conosciuti ma spesso confusi e incompresi.



A completare la visita 
– che in realtà abbiamo svolto in due tappe, a distanza di una settimana una dall'altra – un incontro casuale, che forse casuale non è; con la “ennesima” sirena. Nondimeno una coppia, di sirene, e una coppia di chiavi; a ricordarmi il percorso sirenico-gemellare che mi sta accadendo dentro, e che nell'amore tra la armonia celeste e quella sotterranea sempre più si esprime, aprendo porte nelle quali l'una e l'altra si specchiano. Come una onda che, inesorabilmente ritorna al suo mare; ad ogni viaggio ritorno un po' più a me stessa, e nuove serrature si svelano, con le loro combinazioni, dove prima c'erano muri. Per approfondire lo studio delle sirene, è disponibile il mio breve saggio scritto per il portale di ricerca Lo Scrigno di Luce intitolato Le Sirene, Miti e Rivelazioni Alchemiche dalle Origini.


I giardini del chiostro, nel frattempo, godevano della luce del sole, seppure flebile; dopo tanti giorni di pioggia, ed esplodevano in colori bellissimi.



Le ultime fotografie, invece, ritraggono lo storico Vicolo Canonica con il pozzo; una particolare zona del centro di Novara che ho sempre apprezzato, e che racconta alcuni cammini che mi hanno abitata e che tutt'ora mi chiamano.



Curiosità di Viaggio, La Donna Velata del Vicolo Canonica Si narra fin dall'ottocento che il fantasma di una donna velata, nondimeno attribuito a una prostituta che, però, in verità venne uccisa nel novecento e nella sua casa in Via Pietro Azario, ovvero ad altro indirizzo; terrorizzasse i Novaresi e lanciasse il malocchio sui passanti del vicolo; e che tale apparizione sia stata scacciata grazie ad una Madonnina lì posta per quella causa; che però è un anacronismo poichè venne in realtà murata nell’ottobre 1997 e infatti la data appare sulla soglia di una finestrella raso terra accanto all’entrata del n° 2c, corrispondente al noto negozio di parrucchiere. Che nel tempo un sincretismo sia venuto a crearsi tra una antica leggenda locale; peraltro che porta il motivo ricorrente della fantasma o di una donna velata, individuabile anche nelle leggende dell'Ossola come reminiscenza di antiche figure folcloriche connesse a Dee di luce e fortuna; è pur possibile. Tuttavia, che il brutale omicidio di una donna, Celestina Ragazzi, sia stato trasformato in una favoletta per spaventare la gente, non appassiona.

Siti esterni di riferimento


Informazioni di Viaggio

Il museo è aperto dal mercoledì alla domenica dalle 09:00 alle 18:00. La visita è guidata e dura circa un'ora e il costo è di cinque euro, ridotto tre euro. A breve verranno svolti dei lavori di restauro e ampliamento che non permetteranno l'accesso per alcuni anni, si consiglia di visitarlo subito se interessati.

Diritti

Testo e fotografie di Claudia Simone. Vietata la riproduzione anche parziale senza il consenso scritto dell'autrice e senza citare la fonte.

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