
Il viaggio di Sabato 13 Gennaio, ci ha condotto alle distese di ghiaccio e brina della Valle dell'Ossola, nel Verbano-Cusio-Ossola; alla ricerca di un luogo di reminiscenze antiche cultuali, legate alla luce della stella sole. — Prima il ghiaccio, e poi il fuoco — mi sono detta. Così viaggiare insegna l'alchimia del bacio tra gli opposti, «l'unione degli inconciliabili», avrebbe esordito C.G. Jung; ciò che io e il mio compagno di viaggio, in qualche modo, incarniamo e «sposiamo»; seppure entrambi, completi di ogni aspetto.

Le fotografie soprastanti, scattate all'altezza di Anzola d'Ossola, ritraggono l'algido panorama che ci ha accompagnati fino all'uscita, sulla Via Provinciale SP69, di Monterestese/Crevoladossola, che ci ha condotti alla prima tappa del nostro itinerario, dove l'ambiente, caldo e raggiante, poneva fine allo spettacolo cristallino del tragitto. Seguono dunque le fotografie scattate nella suggestiva area di passeggiate a Roldo di Montecrestese, dove è custodito, tra le montagne della Val d'Ossola, un gioiello unico e prezioso; incastonato nel nucleo antico dell'area abitativa.
Lo avevo già visitato sette anni fa, essendo piuttosto pratica della zona fin da bambina, ma ritornarci, per assaporare il sole di Gennaio, a segnare una vera rinascita, mi ha nutrita. I raggi della stella sole bambina, da poco nata, al Solstizio d'Inverno, che sbirciavano dalle spalle del Tempio; sono stati un incoraggiamento a concentrare il mio lavoro su quella che fu la primissima parola che ispirò ogni mia creazione ed esplorazione Sulle Tracce della Dea Madre: «luce». La Luce, e la sua Alchimia.

Il Tempietto Lepontico di Roldo – relativo alla lingua leponzia, una lingua celtica estinta che era parlata dal popolo dei Leponzi stanziati nei territori alpini e subalpini – è l'Unico esempio di architettura religiosa pagana prealpina ed era, con tutta probabilità, dedicato a una divinità solare protoindoeuropea quale probabilmente Belisma/Belisama – dal protoindoeuropeo “bel”, che significa Luce; ed equivalente della Brigid dei tre fuochi, nonché della Diana Lucifera; quella Diana preindoeuropea, preromana; che molte e molti ignorano cui si riferisce la primissima religione delle streghe – o a quello che era considerato il suo compagno ed equivalente maschile, Beleno/Belanu. Individuato nei primi anni settanta dallo storico locale Don Tullio Bertamini, il grazioso Tempio presenta una struttura architettonica tipica degli edifici cultuali del I sec. d.C. Si specifica che a giudicare dal disegno assonometrico della struttura, si evince che la Torre, detta “dei Picchi” per via dei briganti che nell'area avevano preso possesso di alcune proprietà; è un ampliamento e risale al secolo XV.








Purtroppo ci siamo dovuti accontentare di vederlo chiuso: tra le immagini allegate, si notano le fessure da cui siamo riusciti a scattare qualche fotografia del caratteristico «fascio di luce» che penetra ed irrora la piccola cella cultuale dalla finestrella esposta a Sud, affacciata su una roccia a picco poco sporgente sulla piana di Domodossola; levigata dall'antico ghiacciaio.


Seguono altri scatti del nucleo antico della passeggiata a Roldo che conduce al Tempietto Lepontico; dove, ovviamente, ho preteso di fare la fotomodella. Peccato, però, che una volta salita a quei pochi metri di altezza – in realtà in foto sembra più basso di quanto non fosse in realtà – non riuscivo più a scendere e mi girava la testa.
Taccuino di Viaggio “Scopro una paura delle piccole e grandi altezze che non sapevo di avere e non avevo mai avuto; ma non mi sorprende, dato che è risaputo che sono una creatura acquatica che ama le profondità”.
Il mio compagno di viaggio, a ogni modo, è davvero paziente – in viaggio sono lamentosa, schizzinosa, altezzosa e tutta un'altra serie di piacevoli epiteti – e; come fotomodello, è anche più semplice: lui esce bene in ogni fotografia, soprattutto perché non si cura della posa ed è un vichingo meraviglioso, in pratica l'uomo che ho sempre desiderato al mio fianco. Ogni tanto, devo fermarmi a guardarlo, da lontano, e convincermi che esiste davvero. «Esiste e mi sopporta pure»; mi ripeto.











E qui, la passeggiata lungo la frazione Pontetto di Montecrestete, che si trova a pochissimi chilometri dal Tempietto, prima della salita che conduce al gioiello ed un tempo dedicata alla lavorazione artigiana; titolata al Vecchio Forno – che purtroppo si trovava in una celletta chiusa che non siamo riusciti a fotografare – ma ciò che più mi ha colpita è stato il Lavatoio Pubblico, che era, racconta la legenda affissa all'imbocco del nucleo in pietra; “il punto di incontro di ogni frazione, nei pressi del quale le donne chiacchieravano, si scambiavano notizie e consigli e si condividevano «gli stessi problemi»”.
Taccuino di Viaggio “Per qualche istante, mi è piaciuto immaginare quelle donne, lontane dalle tecnologie di cui ci serviamo adesso; dedite all'atto di «lavare», purificare, e in qualche modo lasciare andare”.
L'acqua, il bagno, l'atto del pulire avendo il coraggio di bagnare le proprie mani, fino ai gomiti, nelle profondità poco piacevoli e armonizzarne il contenuto; è un aspetto importante della mia magia e della tradizione alla quale, non più molto segretamente, «appartengo». Il gesto del lavare mi abita come se quell'atto lo fossi io stessa. Un gesto antico, legato a una natura stellare e sirenica; che in qualche modo presagisce, o fa suppore, un lieto rapporto con la morte; che si delinea nel coraggio di «sciacquare via» ciò che non appartiene e inquina.


Ultimata la breve esplorazione a Pontetto, abbiamo cercato, e trovato, il nostro «angolo del rifocillo» perfetto in un piccolo Pub a Montecrestese dove abbiamo mangiato un «semplicissimo panino». Il pranzo, che abbiamo consumato all'aperto per godere di quella aria pungente e vivifica; ci ha donato un compagno di viaggio che ha praticamente mangiato insieme a noi: il pettirosso, l'uccellino dell'inverno per eccellenza, che non era per nulla impaurito dalla nostra voglia di fotografarlo. Si metteva in posa, il piccolo Robin. Peccato non aver avuto con noi qualche semino da potergli donare, e dire che a casa abbiamo una scorta di palline di grasso scelte appositamente per le cinciallegre e i codirossi che nei mesi freddi beccano sul terrazzino che da sulla campagna novarese.

Ritornando verso casa, la tappa ad Orta, vicino la quale ho abitato per alcuni anni, era d'obbligo. Nessun luogo al mondo, per me, è paragonabile a Orta, con la sua Isola di San Giulio abitata solo dalle donne – le monache benedettine di clausura – che custodiscono la famigerata “vertebra del drago” che avrebbe abitato le sue acque; a reminiscenza, forse; delle isole sacerdotali femminili, talune stellari e sireniche/orgiastiche; altre legate ai defunti od al motivo del «locus amoenus» di cui mi sono occupata a lungo nelle ricerche degli ultimi anni; ricostruendo le fonti che mi hanno portata a credere che la sacra Isola, «ges kleithron» – serratura della terra, per citare Plinio – situata oltre l'Orsa Maggiore o Stella Polare, nel famigerato “mitico Nord stellare” ambito e cercato da molti eroi e semidei, e similmente occultato nelle leggende germaniche, celtiche, islandesi, finniche e mediterranee; fosse in realtà la medesima Isola, «forse interiore» ed intimamente connessa a un sentire silenzioso, alla quale tutte e tutti, prima o poi, devono fare ritorno per ritrovare sè stesse/i.
A ogni modo, l'Isola di San Giulio – che torneremo a visitare prossimamente, dato che siamo arrivati troppo tardi e abbiamo perso l'ultima corsa del traghetto – prende il nome dal santo cristiano che, secondo la leggenda locale; avrebbe ucciso il drago e i serpenti che la infestavano, reminiscenza del femminile sacro ctonio, nonché del motivo del serpente associato alla Dea, alla donna e alla Sirena primigenia in molti miti, leggende e superstizioni in ogni luogo del mondo; che fanno del “buon Giulio” colui che ha scacciato quella anima ancestrale e pagana che un tempo lì viveva; solo per affiggervi la bandiera cristiana.
L'Isola di Orta, comunque si voglia, resta la nostra Loch Ness italiana, e per quanto logorato possa essere il suo spirito originario; le acque raccontano ancora la sua storia, soprattutto se le si attraversa a nuoto, mettendosi in ascolto «della voce».
(La leggenda è reperibile nell'Antro, nella sezione Fiabe Classiche e Leggende)
Curiosità di Viaggio, La Strega di Orta Il più antico documento in Italia in cui si indica con precisione l’esistenza di un provvedimento giuridico contro le streghe è riferito a Orta. Si tratta del Consilium che il giureconsulto Bartolo da Sassoferrato 1313-1357 inviò al vescovo di Novara Giovanni de Plotis e all’inquisitore di quella città, perplesso sulla pena da infliggere ad una donna di Orta arrestata e processata perchè accusata di stregoneria. Il rogo della presunta strega avvenne nel 1340. L'informazione si ritrova in un testo di Laura Rangoni, intitolato Vivere Wicca, Xenia Edizioni, Milano, 2004, p.22; ma Massimo Centini, in Streghe in Piemonte, Pagine di Storia e di Mistero, Priuli e Verlucca Editori, Edizione 2018, pp. 17-18; argomenta che i documenti schedati in Piemonte risalgano a un periodo intercorso tra il 1292 e il 1740; e che su tale Consilium vi siano dei seri dubbi, ovvero la possibilità che sia un falso.
(Tratto da La Strega di Orta, ricerca di Claudia Simone, disponibile nella sezione Le Vie dell'Antro, La Via delle Streghe).
Tra gli scatti a Orta, la Piazza Motta e il Palazzotto storico della Comunità; dove il serpente ancora vive, in qualche forma.


All'interno del Palazzotto della Comunità, anche chiamato “Broletto” dai locali; è ancora esposta la mostra dei presepi dell'artista Giuseppe Loda.
Memorie di Viaggio Fin da bambina, come raccontai tra le pagine del mio Diario lo scorso inverno; facevo sparire l'angelo e la Stella Cometa dal presepe di famiglia, e mi nascondevo in qualche angolo buio a contemplare dentro di me la vera storia epifanica, che poi ha trovato riscontro nelle mie più recenti ricerche; che accompagnava quei simboli. Oggi non sono cambiata. Non potendo taccheggiare alla mostra – risate – interrompendo il solenne chiacchiericcio degli anziani affascinati intorno; ho portato con me ciò in cui mi sono riconosciuta, con le fotografie.




Seguono altri angoli, i più suggestivi di Orta, che rievocano in me un ricordo di casa.
Il sole incominciava allora a calare dalla palpebra del cielo, per lasciare posto alla falcetta di Luna crescente che tingeva le acque di armonie cipriate. Ed eccola, emergere al crepuscolo, «la mia isola da sempre»; giusto in tempo per vederla illuminata, come le stelle.
Nota di Viaggio
Per tutto il periodo delle feste natalizie l'Isola di San Giulio è stata soprannominata Isola delle Stelle, per via della accensione delle luci nei toni del blu e dell'oro, ispirate alle Stelle di Giotto; che dalle ore 17:00 alle ore 01:00 illuminano l'isola. Abbiamo fatto in tempo a vederle, nonostante le festività natalizie si fossero concluse da alcune settimane. L’evento è stato promosso dal Distretto Turistico dei Laghi, Monti e Valli dell’Ossola e finanziato da Regione Piemonte, all’interno del progetto “Grandi Eventi 2023”.
Diritti
Testo e fotografie di proprietà di Claudia Simone. Vietata la riproduzione anche parziale senza il consenso scritto dell'autrice e senza citare la fonte.
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