“Oh le chiese piccoline
obliate tra il fogliame
cui non urgono le brame
de le chiese cittadine!
Queste vogliono i bei ceri,
grandi organi rombanti;
quelle godono dei canti
che a lor mandano i verzieri.
Hanno ognuna, un campicello
con tre croci umile e solo
c'è la notte il rosignolo,
la mattina c'è il fringuello. Hanno ognuna, un amatore
che le viene a trovare
quando il vespero dispare
in un pallido languore”.
Raccolta presso Madonna della Neve di Suno.
Autore anonimo
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La Madonna della Neve di Suno |
La Madonna della Neve, a cui la piccola chiesa di Suno, in provincia di Novara, è intitolata; nasconde il culto preromano della dea sabina Vacuna - di cui nel 2019 è stato rinvenuto un santuario che ha posto le basi affinché ciò non sia più una ipotesi, dato che sorgeva nei pressi di Rieti, e proprio sui luoghi di maggiore culto ed origine della venerazione di quella che, poi, è diventata la madre campestre della neve. Vacuna è etimologicamente legata sia al latte (vaccino) sia a vacuo (vuoto) nel senso di vacante, armonioso, leggiadro e spensierato viaggiare. La Madre della Neve è quindi da considerarsi una dea del riposo, del vagare ciclico nel buio della grotta dell'inverno dell'anima, l'unico luogo da cui possono nascere consapevolezza, luce e nutrimento. Tracce del culto della Madonna della Neve, però, sono emerse in modo preponderante anche nelle Dolomiti, dove è possibile accostarla alla regina dell'inverno Samblana; in Piemonte e in Lombardia.

Ho sempre amato il suono della parola neve.
Qualcosa di soffice e imperituro, dentro di me, ha lo stesso suono di quella parola. Ci sono elementi della natura che ci riportano a noi stesse, e senza i quali, probabilmente, ci sentiremmo perdute. La neve, il latte, il profumo dell'acqua del bagno imbiancata dall'amido di riso, e le meravigliose pratoline che in primavera imperlano i praticelli delle campagne novaresi, sono gli elementi tangibili di quel soffio materno della dea madre che a me è più caro. Spesso, nella ricerca di ciò che è esotico, lontano, e particolarmente appariscente, i viaggiatori del nostro tempo dimenticano che, la vera cerca, si svolge quando fra le strade percorse ogni giorno, si trova una prospettiva delle stesse più profonda e rivivificata.
I miei piccoli viaggi all'insegna della ricerca delle tracce che le antiche dee hanno lasciato nei luoghi che vivo e che mi appartengono, sono il riflesso di un viaggio che compio dentro me stessa.
Nel pomeriggio assolato di una delle prime domeniche di Febbraio, sotto l'egida della lunazione di Imbolc, ho scoperto un luogo che mi ricorda moltissimo quello che mi abita dentro, e l'ho assaporato con tutta me stessa, respirando a pieni polmoni quell'aria leggera, tanto silente quanto gorgogliante di arcani canti invisibili; emessi, probabilmente, dalla eco delle memorie delle donne antiche che, proprio in quel luogo, tanto tempo fa veneravano la grande dea madre della neve, del tempo atmosferico, del latte, del mais, della vegetazione e del nutrimento, nonché di quella danza ingenua e selvatica che le Matronae dervonnae inscenavano nel segreto turbinio dell'avvenire della campagna padana; un tempo punto di riferimento del culto della luce e dei boschetti intitolati alla Diana preromana.
Nelle mie numerose ricerche ho affrontato l'argomento nel dettaglio: nulla è mai lasciato al caso. Ma in questo luogo di appunti dedicati al viaggio, mi limito a condividere le mie intuizioni per come arrivano liberamente. Questo è il momento di custodire le sensazioni, dopotutto.

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Colpita fin da subito dalla Via Madonna della Neve, non vedevo l'ora di parcheggiare nell'aperta campagna dove la piccola Chiesetta omonima sorge, per abbandonare l'auto e incominciare la mia attenta perlustrazione. Il sole era caldo e avvolgeva con i suoi fasci di luce brillante la piccola costruzione tardo gotica, invitandomi ad assaporare ogni istante con solenne partecipazione.
Certo sono molto grata a Don Emilio, che si è gentilmente offerto di aprire la piccola chiesa soltanto per concedermi il lusso di una breve visita domenicale (dato che viene aperta solo per celebrare alcune ricorrenze) e senz'altro il suo aiuto è stato decisivo, nel riconoscere alcune figure di sante affrescate sulle mura della cappella esterna e della chiesa; come Santa Liberata, che ho scoperto essere, in realtà, una rivisitazione dell'antica Mater Matuta di Capua assimilabile alla ingenerata e primitiva Madre del Mare Leucotea (forse sincretismo con le Matronae, dato che la santa era anche originaria della Gallia Transalpina) ma mi è mancato quel senso di solitudine, quel non essere guardata da nessuno, mentre mi specchio nei luoghi antichi di cui vado alla ricerca.
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Una delle madri affrescate all'interno della chiesa a cui è stato purtroppo strappato il volto |
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Una della madri invisibili |
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La Mater Matuta o Madre Propizia/ Madre del Mattino sotto la logora veste di Santa Liberata |
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Uno scatto rubato da mia madre, l'unica accompagnatrice permessa in questi viaggi |
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La scultura dedicata alla Madre della Neve e della Campagna, datazione ottocentesca |
Senz'altro ritornerò a far visita a questo luogo incantevole e magico, ed anche se non potrò accedere agli interni, potrò godermi comunque la vista sulla campagna, cercando di immaginare i pensieri della entità intagliata nel legno che con lo sguardo rivolto all'orizzonte verso Nord/Ovest, sembrava contemplare, con una leggera malinconia, la dipartita del sole. Sotto le sue radici scorrono senz'altro acque benedette, poiché l'antico pozzo che le sorge affianco, potrebbe essere collegato alle acque di altri antichi luoghi di culto della campagna, nel ricordo del grembo materno di una grande dea sempiterna ed onnicomprensiva delle origini, che un tempo, in queste zone della vecchia Gallia Cisalpina, veniva chiamata Brigid e poi sostituita con Minerva a causa dell'inevitabile assimilazione delle dee celtiche a quelle romane.
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Dettagli agresti che richiamano le Dee nutrici arcaiche della vegetazione forse un tempo lì venerate |
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Il pozzo antico |
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La cappella esterna e seguono suoi affreschi |
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San Placido monaco benedettino e martire |
Tra luci ed ombre e tra vibrazioni cristalline e riverberi luminosi, gli interni della chiesa, illuminata dalla finestrella ad Ovest, dove il sole incominciava a tramontare, hanno allietato il mio sguardo, facendomi desiderare di raccogliere le sensazioni di alcune prospettive.
E poi, la culla, il richiamo all'atavica grotta della madre che ancora tinge l'inconscio delle genti di campagna, a fare da protagonista all'interno della chiesetta
Citazione di viaggio “La culla non sarà mai vuota, il piccolo pane disceso dal cielo, non è stata una presenza effimera, ma è la concretezza della nostra vita”. Testo sulla didascalia esposta nella Chiesa
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La parete a Nord della chiesetta, dove un tempo sorgeva un porta |
Per parafrasare Freud, a volte una cosa è esattamente ciò che è. E la chiesa di Madonna della Neve di Suno, si offre allo sguardo esattamente per come è, nella sua intima e delicata semplicità. Lei non mente, non si agghinda, basta a se stessa, non ha bisogno che le mie parole o quelle di alcuno ne legittimino il valore.
Taccuino di Viaggio “Come in una capsula del tempo, fra molti anni, ammirerò dentro lo scrigno di questo ricordo, e l'aria della campagna di Suno mi attraverserà i polmoni ed il diaframma in un prezioso, soffice vagito di neve lattiginosa e silvana bellezza”.
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La Chiesa di Madonna della Neve con cappella presbiteriale rivolta ad Est |
L'affresco di Santa Lucia
Tra gli affreschi all'interno della chiesa, databili tra la fine del 400' e l'inizio del 500', di rilievo una Santa Lucia che non solo ha confermato tutte le mie ipotesi sul collegamento reale fra lei, la Madonna della Neve e del Latte, con la Dama Bianca di origine germanica preindoeuropea; ma è stata anche del tutto inaspettata poiché, in effetti, tempo fa l'affresco originario venne materialmente strappato alla piccola chiesa per timore che venisse rubato - dato che alcune madonne all'interno sono state portate via - e riposto all'interno della sacrestia della Chiesa Parrocchiale di Suno, dove Don Emilio mi ha gentilmente scortata per poterlo ammirare.
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La fotografia di Santa Lucia che un tempo conservata nella Chiesa di Madonna della Neve |
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Santa Lucia conservata nella sacrestia della Chiesa Parrocchiale di Suno |
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La delicata margherita affrescata sul soffitto della cappella presbiteriale |
E infine, ritornate in paese, io e mia madre ci siamo concesse un sereno momento di libagione.
Taccuino di Viaggio “Il momento più corroborante del viaggio, è sempre quello in cui mi concedo un piccolo ristoro nutriente, a prova che la dea madre vive, anzitutto, in ciò che scegliamo di introdurre dentro noi stesse, sia in quanto a cibo vero e proprio, che in quanto a ciò che scegliamo di introdurre nella nostra anima attraverso oggetti, pensieri od azioni”.
“Ora son tornato
alla Madonna di campagna.
Dieci anni son passati!
Ho visto la strada polverosa
che mi condusse da bambino.
Non c'eran più le viole fiorite
a profumare il mio cammino!
Una siepe di rovi spinosa,
un biancospino appassito
m'insanguinò la fronte.
Non sono più fanciullo;
giovane sono,
forte come un guerriero antico.
Desidero le vette
E mi trascina al fango la mia vita.
Stilla e geme la gelida ferita.
Lacrime amare!
Ora son giunto
alla Madonna di Campagna
come il cerbiatto ansante
corre alla fonte.
Ho trovato un altare infuocato
un volto divino, sorridente,
un cero spento e un pane da consacrare”.
Tratto da Squarci di Vangelo di Don Giovanni Cavagna.
Diritti
Testo e fotografie di proprietà di Claudia Simone. Vietata la riproduzione anche parziale senza il consenso scritto dell'autrice e senza citare la fonte.
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